LAURA FERRETTI: il colore della serenità che inquieta
Dott.ssa Clorinda RUZZI critico d’arte
Conosco
Laura
da
sempre
e
il
nostro
percorso
esponenziale
si
è
spesso
intrecciato
talvolta
anche
sul
piano
artistico
e
con reciproco arricchimento.
La
richiesta
di
presentare
la
sua
opera
mi
ha
profondamente
commossa,
mi
ha
molto
lusingata
e
preoccupata
altrettanto.
La
mia
formazione
umanistica
che
è
strumentale
alla
mia
produzione
poetica,
a
quella
saggistica,
nonché
giornalistica
non
mi
sembrava
offrire
garanzia
sicura
contro
le
insidie
della
critica
d’arte,
settore
per
altro
da
me
visitato
e
molto
amato.
Poi
ho
pensato
che
il
cuore
e
la
mente
mi
avrebbero
soccorso
in
una
lettura
-
per
affinità
poetica almeno - dell’opera di Laura.
È
un
piacere
godere
con
Voi
questa
mostra
risonante
di
armonie,
satura
di
suggestioni,
impastata
di
una
vita
segreta,
tanto
più
intensamente
avvolgente,
quanto
più
è
suggerita
come
in
una
continuità
magica
tra
le
maremme,
i
paduli,
i
deserti,
i
fondali
marini,
i
fiori
e
decisamente
inerpicata
per
una
religiosità
che
abbraccia
la
terra
al
cielo
per
approdare
ad
un’alta
cifra
mistica
di
una
fede
fanciulla,
sorgiva
e
seducente,
come
i
cieli
liquidi
della
grande
pala
d’altare
che
inonda di luce il Santuario cinquecentesco della “Madonna della carità”, situato a Seggiano.
Amerei introdurre la nostra breve conversazione osservando la maremmanità della Ferretti.
Eccoli,
i
dipinti:
i
luoghi
delle
radici
si
traducono
in
una
sintonia
di
colore;
sono
l’orizzonte
di
forza
da
cui
si
evade
per
costruirsi
e
nei
quali,
comunque,
ci
si
riconosce;
è
come
se
Laura
portasse
con
sé
la
propria
casa,
lumachina
solare,
lei,
che
ben
si
vive
e
splendidamente
accoglie
il
visitatore
coi
cieli
grandi
e
accesi,
ocrati
della
sua
splendida
ispida
terra,
brada
e
profonda
come
i
suoi
paduli
brulicanti
di
vita.
Laura
privilegia
una
lettura
intima
della
sua
Maremma
che
si
proietta
nella
continuità
di
riflessione.
E
spesso
è
anche
continuità
cromatica,
quella
che
esplode,
per
esempio,
nei
bagliori
abbacinati
dei
suoi
deserti,
dal
calore
della
terra
madre
all’accoglienza
del
silenzio
il
racconto
pittorico
avanza
naturale e necessario, come riflessione su di sé, quale lucida risorsa della mente creativa.
Indubbiamente
il
soggiorno
in
Terra
Santa
ha
ulteriormente
marcato
la
religiosità
contemplativa
di
Laura,
elemento
questo
salvifico
dalla
quotidianità
in
tumulto;
ma
ha
anche
ulteriormente
affinato
la
sua
disponibilità
all’ascolto
che
automaticamente
si
traduce
nella
disponibilità
all’altro
e
nella
produzione
di
una
materia
pittorica
il
cui
elemento
primo
di
lettura
si
concretizza
in
una
serenità
che
inquieta.
Dove
infatti
Laura
vuole
esplicitare
l’equilibrio
armonico
tra
passione
e
ragione
-
che
è
poi
la
testimonianza
di
uno
stile
di
vita
giorno
per
giorno
perseguito
-
chi
legge
il
quadro
avverte il piacevole sgomento derivante da mille suggerimenti e rassicurazioni.
Dalla
luce
dei
deserti
che
esorcizzano
la
paura
dell’assenza,
alla
fiaba
delle
stagioni:
tele
quasi
monocromatiche
–
quelle
delle
stagioni
–
dove
lo
scorrere
del
tempo
è
come
il
gioco
leggiadro
del
calendario:
i
verdi
accesi
della
primavera,
i
colori
barocchi
dell’estate,
il
tepore
ridente
dell’autunno
e
il
grigio
caldissimo
dell’inverno.
Sembrerebbero
composizioni
per
la
camera
dei
bimbi,
se
sotto
la
prima
impressione
non
ci
fosse
la
densa
profondissima
storia
di
un’anima
che
raggiunge
tanta
riequilibrata
ricomposizione
nella
coscienza
dell’
“esserci
qui
ed
ora”,
nel
raffinato
appena
ironico
gioco
del
sorriso,
attraverso
un
viaggio
umano
e
spirituale
talvolta
abbacinato
dall’ombra
della
sofferenza,
dal
senso
dolente
della
provvisorietà,
dall’arduo
confronto
con
l’ex-sistere,
con
il
“sortire
da
sé”,
che
prevede,
comunque,
il
morire
alla
vita,
per
riprendersela
da
subito
con
la
leonina
caparbietà
di
non
arrendersi mai, per accoglierla ovunque.
E
forse
vale
soffermarsi
un
poco
sulla
silloge
di
poesia
espressa
nei
quadri
titolati
“Attraverso
il
nero”.
Sono
il
punto
“inquietante”
e
della
serenità
che
la
Ferretti
ci
regala.
È
il
gioco
difficile
a
cui
ci
chiama
e
in
cui
ci
intriga
prima
che
ce
ne
accorgiamo.
La
corposità
dei
neri
mano
a
mano
si
assottiglia
in
un
gioco
sapiente
fra
l’acrilico
e
olio
e
la
stupenda
provocazione dei paesaggi in fiore che costituiscono, fra l’altro, il leit-motiv della sua pittura.
La
vita
di
là,
di
là
dalle
sbarre
di
una
quotidianità
mortifera
e
omologatrice
è
come
la
“trappola”
del
paradiso
terrestre.
Non
si
può
non
coglierla.
Solo
che
qui
il
peccato
sta
proprio
nell’immobilità
feroce
che
il
nero
può
imporre.
C’è.
È
fastidiosa,
ma
anche
nemica
evidente,
in
“Attraverso
il
nero,
1”;
non
offre
scampo,
se
non
il
possibile
ritorno
al
vitalismo
poetico
della
terra-fiore.
Poi
piano
piano
il
discorso
affonda
nell’inferno
segreto
e
il
nero
degrada,
sembra
scomparire
per
avventarsi,
invece,
in
una
sua
pirandelliana
collocazione
in
“Attraverso
il
nero,4”.
Il
nero
dunque
non
si
può
espungere
dalla
tavolozza;
come
dalla
vita
non
si
possono
cancellare
la
malattia
fisica
e
morale,
il
dolore,
la
morte.
È
presente
e
ferisce
il
colore;
ma
in
esso
soggiace
alla
tavolozza
per
farsi
colore,
come
la
morte
soggiace
alla
vita – per farsi vita essa stessa – proprio come nei deserti o come nei paduli.
Se
si
percorre
questa
lezione
anche
attraverso
i
grumosi
e
pacificanti
colpi
di
spatola
che
incorollano
i
fiori,
si
comincia
a
cogliere
il
senso
di
quella
“serenità
inquietante”
cifra
denotativa
l’ispirazione
pittorica
di
Laura
Ferretti
di
cui
all’inizio parlavo.
Allora
la
luce
invade
il
cuore.
Così
accade,
almeno
per
me,
soprattutto
nei
momenti
che
amerei
definire
“blu”
dei
fondali
marini.
Il
viaggio
nella
coscienza
continua
e
trasferisce
a
galla
la
forza
rocciosa
della
vita
che
regna
silente
e
sovrana
con
le
sue
forme
muschiate,
i
suoi
rossi
trillanti,
le
sinfonie
dei
gialli,
soli
dissepolti
dai
viaggi
affannati
nel
silenzio
di
tante
maree,
forse
troppo
alte,
forse
ostili,
traversate
comunque
e
sempre
dalla
determinazione
a
vincere
la
vita,
non
secondo
un
vitalismo
barocco
e
decadente,
ma
per
la
forza
stessa
della
materia
che
include
e
libera
lo
spirito.
E
vale
notare,
fra
l’altro,
che
le
acque
raramente
si
chiudono
in
sé
stesse,
ma
si
orizzontano
piuttosto
alla
verticalità
del
cielo
in
gradazioni
di
azzurri
sempre
più
bianchi
di
luce.
I
ritmi
ascendenti
si
fanno
vertiginosi
come
in
“Acqua
viva”
dove
il
fremito
di
un
eros
sano,
solare
si
sposa
naturalmente
e
gioiosamente
alla
religiosità
delle
cose
e
del loro mistero, avvolto nella grazia dell’”acqua – vita”.
E
tutto
è
rapido
come
il
tempo
della
gioia
o
la
risata
squillante
che
si
rovescia
su
sé
stessa.
E
tutto
si
fa
verifica
in
positivo della provvisorietà.
Comprendo
bene
i
motivi
che
hanno
indotto
il
poeta
Mario
Luzi
a
soffermarsi
di
fronte
alle
opere
di
Laura.
Il
Mario
Luzi
del
Magma,
del
Viaggio
terrestre
e
celeste
di
Simone
Martini,
il
mio
generoso
e
affettuoso
recensore
di
Punto
e
virgola,
l’opera
mia
più
recente,
non
può
non
essere
coinvolto
nel
magma
vitale
di
Laura
o
nell’affascinante
ascensione
ai
cieli
d’acqua
dei
soggetti
religiosi,
un’acqua
“grassa”
come
fosse
intinta
nella
charitas
affratellatrice
della
poetica ungarettiana.
Altresì
l’inquietante
bagliore
dei
campi
di
girasoli
provoca
e
dilata
lo
spiraglio
per
le
aguzze
speranze
dei
limoni
montaliani.
E
ancora
la
stagione
oltre
il
tempo
dei
fiori.
Fiori
di
carne,
“fiori
persona”,
folla
di
fiori
oltre
la
folla
informe
nella
quale
la
persona
si
perde,
fiori
individuati
e
unici,
costruiti
a
spatolate
sapienti
circoscritte
e
puntigliose.
E
il
nero
qui
non
è
più
nemico:
ma
esso
stesso
è
controluce
della
vita
che
può
abbagliare
nel
frastuono
implosivo
della
sua
irruenza;
oppure
è
culla
della
rinascita.
Così
le
tele,
quella
della
grande
quercia
o
delle
piante
di
ulivo,
segnalano
il
recupero
sapienziale delle generazioni, perché l’humus per i fiori nuovi sia fine e fecondo.
Di
tanto
la
quercia
si
incava
in
un
profondo
limbo
materno
a
mezza
luce,
perché
il
fiore,
creatore
del
proprio
profumo,
affondi
avide
le
radici
che
spaccano
la
morte.
C’è
poi
il
tripudio
dei
campi
di
girasoli;
e
i
gerani,
gli
oleandri,
le
ginestre
ritte
come
spade
sui
paesaggi
dell’anima
privi
di
recinti
composti
allo
stupore
di
cieli
dilatati
che
debordano
dalla
cornice.
E
dunque
l’impervio
esercizio
alla
serenità,
derivante
dalla
ferrea
educazione
della
volontà
propositiva,
diventa
uno
stile
di
vita,
quello
stile
che
i
quadri
della
Ferretti
rilasciano
nelle
mille
allusioni
alla
ricomposizione
serenatrice
che
evoca
la
cauta
ma
solerte
speranza
sulla
fabbricità
umana.
Veleggia
il
pensiero
di
un
destino
nel
quale
si
inscrive
il
tempo
umano
del
libero
arbitrio;
ma
non
sembra
che
tale
assunto
relativizzi
l’uomo
e
il
suo
scacco
in
un
pessimismo
distruttivo.
La
scelta
è
ben
altra:
si
impone
nel
candore
dei
fanciulli
che
circondano
Gesù
della
Pala
d’altare
e
costituiscono
uno
splendido
pendant
coi
fiori
a
terra.
È
la
scommessa
di
chi,
pur
sapendoli
riconoscere
ed
accogliere
nella
loro
multiforme
valenza,
preferisce
ai
mezzi
toni
l’infanzia
nativa
e
senza
pudore,
perché
primigenia,
dei
sentimenti
allo
stato
puro,
del
coloro
come
slancio
vitale,
di
una
fede
priva
di
ombre
e
senza
precauzioni
nel
Divino
che
rifiorisce
in
noi,
perché
somigliante
solo
a
Sé
stesso.
Questa
è
la
lezione
di
“semplicità”
di
Laura
Ferretti:
un
percorso
tutto
in
salita
anche
nei
suoi
quadri
religiosi,
dove
gli
elementi
tecnici
raggiungono
alte
vette
di
maturità.
Meditato
e
sapiente
l’uso
della
spatola
armoniosamente
accostata
al
pennello.
Eccellenti
in
tal
senso
i
risultati
derivanti
dall’accostamento
di
tali
tecniche
per
dare
luce
e
vita
ai
volti
del
Cristo
e
della
Madonna
che,
come
rileva
il
prof.
Lombardi,
in
qualche
modo
richiama la grande scuola di Benozzo Gozzoli.
D’intenso
coinvolgimento
la
Natività
indubbiamente
ascrivibile
alla
classicità
della
scuola
toscana
quattrocentesca
e
pure modernamente spoglia di qualunque orpello, ma colma di una tenerezza senza tempo.
Nel
complesso
della
produzione
artistica,
infine,
quella
della
Ferretti
è
una
pittura
dove
lo
studio
puntiglioso,
costante
e
la
coerente
educazione
del
sentimento
convergono
nel
racconto
dell’armonia
di
vita,
nel
calore
–
colore
della
quale
ciascun visitatore è felicemente accolto per discrezione imperiosa della pittrice.
Discrezione
imperiosa,
dicevo,
con
ossimoro
volontario:
nel
senso
che
la
personalità
fortissima
di
questa
pittrice
straordinaria
s’impone,
comunque,
oltre
il
suo
porgersi,
defilarsi
un
po’
all’inglese,
soprattutto
attraverso
lo
studio
della luce. Luce invasiva, diretta, fluida, abbagliante come la determinazione del carattere.
Non mi resta che dire grazie a Laura per le emozioni che ci regala e augurare a tutti voi una felice visione.